Storia con un mito: Gerardo, Scala e l'Ordine di Malta
Principi reali e mitici cavalieri sembrano essere doverosamente alla base di tutte le più antiche fondazioni. E anche di moltissime case aristocratiche. Persino principi e re sono andati alla ricerca di antenati sempre più importanti, gareggiando tra loro per precedenze, distinzioni di protocollo, magnificenza di titoli. In epoche in cui i sovrani erano soliti chiamarsi "fratello", sembrava per loro necessario dimostrare di appartenere a famiglie di uguali origini e antichità. Ivan IV, erede dell'ideologia imperiale bizantina, aveva imposto il segreto di Stato sulla sua genealogia per timore di inopportuni commenti. "Nel 1521 (…), il gran principe Vasilij III aveva rifiutato di chiamare fratelli i nuovi regnanti, ovvero Federico II di Danimarca-Norvegia e Gustavo I Vasa di Svezia. Per i russi, il re eletto di Svezia, discendente da una famiglia della nobiltà minore, non era neppure un nobile ma un mercante; il sovrano di Danimarca un re di "sale e acqua" . Nel 1559, quando gli emissari di Cristiano III, nuovo re di Danimarca, cercarono di imporre un trattamento di parità tra lo zar e il loro sovrano, i boiari rifiutarono persino di discutere la questione, insistendo perché il loro re si rivolgesse allo zar chiamandolo padre e non fratello" (1). La parola mercante sarebbe ricorsa insistentemente e in tono dispregiativo nelle conversazioni delle classi alte fino a tutto Ottocento.
Re provenzali, imperatori germanici, nebulosi sovrani barbari sono stati proclamati avi più o meno credibili di famiglie regnanti che avrebbero aiutato duchi e marchesi rinascimentali come i Medici, i Farnese o i Gonzaga a scavalcarsi fra loro per di avere i primi posti nelle cerimonie e negli ingressi trionfali della Corte imperiale. E sovente antenati sempre più importanti non solo si si reclamavano ma si alternavano e sostituivano. Avi di diversa origine etnica entravano ed uscivano dagli alberi genealogici per aiutare gli scopi politici dei regnanti e le loro ambizioni; come fecero i Savoia, sostenitori di ascendenze galliche o italiche, a seconda delle convenienze del momento e le loro mire espansive in Italia.
Le famiglie nobili hanno cercato a loro volta di percorrere gradini che portassero sempre più in alto nella scala sociale, pur di rendersi uguali persino ai sovrani agli occhi dell'opinione pubblica. I del Balzo che arriveranno a cingere la Corona titolare di Costantinopoli, nonostante già nobilissimi per storia familiare e importanti alleanze matrimoniali, non disdegneranno di lasciar diffondere, tra le ipotesi delle loro origini, anche la tradizione di una discendenza dai re di Arles o la leggenda di derivare da Baldassarre, uno degli evangelici Re Magi, traendo per questo un esile spunto dalla cometa raffigurata nello stemma (2).
Non sono soltanto i grandi nobili a percorrere ed occupare i diversi livelli della società servendosi di un'abile manipolazione della storia. Già in pieno Medioevo il fermento causato dal successo delle proprie attività era in grado, infatti, di muovere ambizioni che vanno al di là della speranza di guadagno. I mercanti amalfitani che viaggiavano in tutto il bacino del Mediterraneo, e che operavano a stretto contatto, in particolare nella Terra Santa, con vescovi, guerrieri, principi musulmani, e quindi con i figli ed eredi delle più grandi famiglie di Francia, Inghilterra, Provenza ed Italia, devono aver trovato necessario indorare le proprie ascendenze. Dopo aver armato, inviato e richiamato navi cariche di merci europee ed esotiche, guadagnato somme ingentissime, edificato palazzi, chiese, cappelle nelle città di origine, lungo le coste e i pendii della loro terra non ancora erosa e devastata da maremoti e da tempeste, devono aver creduto opportuno competere con i figli degli antichi clienti gareggiando con loro grazie a liste di illustrissimi avi.
Del resto, in tante occasioni, fin dai tempi dei primi commerci non devono essere stati pochi i grandi mercanti padroni di palazzi, depositi colmi, navi e cofani pieni di monete, a guardare con sentimenti di sufficienza proprio i grandi nobili che si erano rovinati con la speranza di conquistare un ruolo sociale acquistando anche le merci che garantissero un migliore tenore di vita ma che avevano un prezzo altissimo e che per la grande richiesta erano destinati a costare sempre di più. A partire dal XIII secolo, tutta l'aristocrazia che si affacciava sul bacino della Schelda, per esempio, era indebitata con prestatori e borghesi delle città (3). E i più importanti sovrani europei prendevano a prestito danaro dai banchieri italiani. E' una storia che si ripeterà più volte con mutati protagonisti, nei secoli successivi.
Il danaro, però, non fa la nobiltà, e dunque si rendeva necessario provvedere a procurarsela. La scalata sociale è graduale, nei secoli passati, e in genere occorre molta pazienza per occupare le cariche pubbliche, quelle nobilitanti, far comprendere alla comunità che non si è più solo il figlio o il nipote del mercante ma un uomo in grado di amministrare, trattare e imparentarsi con i potenti. E dunque un lungo spazio intergenerazionale deve essere lentamente e impercettibilmente riempito. Anche nel caso dei borghesi e dei mercanti, l'aggiustamento delle ascendenze e l'invenzione di antenati inesistenti costituisce allora un espediente di indubbia riuscita, tale non solo da abbreviare i lunghi tempi dell'ascesa sociale ma da far credere che gli arricchiti tornino semplicemente a rioccupare nella società il posto adeguato che ad essi spetta come discendenti di illustri proavi.
Ho parlato di attesa talvolta secolare. E dunque i più accorti tra i nuovi nobili non potevano servirsi solo di libri scritti da amici ed eruditi compiacenti che troppo lentamente diffondevano notizie sulle loro origini redatte con gli opportuni aggiustamenti. Per essere ammessi fra i cavalieri di Ordini che richiedevano fondate prove di nobiltà, per sfondare le resistenze di lettori critici e di aristocratici troppo curiosi, era necessario talvolta persino un piano più sottile, subdolo e spregiudicato. Un piano semplicissimo ove si potesse corrompere la persona giusta: il falso.
Con pazienza, con l'inchiostro preparato e adoperato da un bravo scrivano, si cercavano i registri parrocchiali più antichi, i protocolli di compravendita, le pergamene medievali. Si sfogliavano le pagine fino a individuare spazi utili fra un atto e l'altro, vuoti liberi nelle pagine. E tutti questi pochi centimetri venivano riempiti con aggiunte di cognomi, nomi di personaggi inesistenti, di immaginifici nonni e bisnonni qualificati come nobili. Oppure venivano assunti indebitamente le denominazioni di case nobili e si "aggiustavano" le annotazioni, in modo da farle figurare con i nomi della propria famiglia. Si trattava di veri falsi di cui l'opinione pubblica non immaginava neppure l'esistenza. Eppure, l'imbroglio doveva essere noto ad alcuni, e fra questi non mancò chi ebbe anche il coraggio di protestare con sdegno per quanto era accaduto e ancora accadeva ai suoi tempi.
Fu il canonico minorese Pompeo Troiano (1666-1738), da esperto diplomatico e studioso, a rivelare e a denunciare con veemenza questi "aggiustamenti". "Qui m'è conveniente, o Lettore -scrive l'ecclesiastico- avvertirti (spinto dal zelo che sempre ho avuto delle nobilissime famiglie), vedendo io in questa nostra età corrotta, che un plebeo malnato acquistando qualche ricchezza per via di fortuna, vuol anco arrollarsi il titolo di nobile per via d'ingegno e salir al posto sublime ove non potè giungere per natura" (4). Pompeo lamentava anche il fatto che da troppo tempo si consentiva a persone che non ne avevano avuto diritto di assumere indebitamente i cognomi di famiglie nobili. E' l'abitudine già diffusa fra la clientela al tempo dei Romani. Per la classe patrizia sembrava quasi un titolo d'onore che tanta gente portasse il proprio cognome, a dimostrazione del numero di parenti, servi, contadini, vicini e fedeli su cui si poteva contare e che garantiva un larghissimo ossequio. E basta scorrere gli elenchi telefonici campani per renderci conto di quante famiglie portino oggi lo stesso cognome di famiglie nobili con cui non hanno alcuna parentela. Tutto questo, prosegue Troiano, avveniva a causa della "corruttela degli antichi nobili, i quali mentre vivevano, permettevano che la loro gente plebea et infima si fregiasse del titolo delle loro casate (il che come s'andasse non so discernerlo), bensì alcuni l'applicano a dipendenza de' bastardi, altri de' schiavi" (5).
Ed ecco la spiegazione che ancora Pompeo offre di queste attività sotterranee che venivano largamente organizzate ai suoi tempi: l'ingresso nell'Ordine di Malta. "Non vorrei dunque -egli scrive- che essendosi indotta questa mal'usanza tra' mortali, un scalzo et un straccione nato tra' vili, havesse in alcun tempo ad inalzarsi a tant'altezza, che arrivasse a gabbare la nobilissima religione di Malta con pretendere l'habito, e di servirsi di simili memorie" (6). "Scusami se la mia penna si trasporta a far tal disgressione, perché la corruttela de' tempi hodierni la conducono a far tutto ciò, tanto più ch'io veggo in questa nostra età, che non solo altri si servono ingiustamente di memorie effettive di famiglie mancate ch'erano nobili, e del medesimo cognome, ma anco altri vitiano le scritture, e particolarmente de' Reggistri Reali, ne' quali si vedono rasi i cognomi delle famiglie patritie già spente, havendono procurato di farci aggiungere i loro e fattoci fabricar'in tutto le famiglie false, con tali astutie, che ne' cognomi veri antichi vi hanno cassato una lettera ponendoci un'altra diversa, per far diversificare la casata" (7).
Tra le famiglie del patriziato locale, i Sasso si adeguano a questo "effetto di dimostrazione" per compiere il passo qualitativo che potrebbe equipararli ai nobili più antichi. Essi scelgono la via tradizionale: quella dell'individuazione di un personaggio storico che potrebbe essere collocato nel proprio albero genealogico. E poiché non devono sussistere dubbi sul fatto che siano stati in Terra Santa all'epoca in cui fu costituito il primo nucleo dei Cavalieri gerosolimitani, niente di meglio che inserire proprio uno tra questi primitivi Cavalieri fra i più illustri componenti della Casa.
Una tale presenza poteva non solo certificare un loro antico status; ma aprire le porte di un Ordine le cui insegne conferiscono una prova definitiva di nobiltà. E' ben conosciuto quanto la famiglia Sasso si sia impegnata in una artificiosa quanto insostenibile costruzione di prove inconsistenti. Lo stesso Franco Cardini, negli atti di un convegno riguardante proprio Scala, ebbe modo di chiarire se esistessero o no possibilità che il Gerardo considerato institutor dei Cavalieri fosse uno solo, se non si confondesse con altri due o tre Ospitalieri che portavano lo stesso nome, se effettivamente si chiamasse Sasso e se fosse stato originario di Scala. Con parole estremamente corrette egli affermò che tali possibilità non esistevano: "Sotto il profilo storico, salvo il rinvenimento -in teoria sempre e comunque possibile- di nuovi e risolutori documenti, tanto l'affermazione quanto la negazione di quel che tradizionalmente si dice sono scelte entrambe oziose" (
.
L'attività "genealogica" dei Sasso non è un caso unico. I d'Afflitto, pure assurti a notevole rilevanza sociale, una volta arrivati nel novero delle famiglie patrizie locali vollero identificare le proprie origini e quelle del proprio cognome con la figura di un Santo molto venerato nel Medioevo, quale protettore dei cacciatori e dei boschi, senza altra prova se non la devozione familiare nei suoi confronti. Così, a loro avviso, le afflizioni che potevano ricordarsi con il cognome parlante, erano da identificarsi con le sofferenze patite da S.Eustachio durante il martirio, confortati in queste ipotesi da Autori acritici e datati come il Crollalanza, il de Lellis e il Mazzella (9). Oppure, con tesi ancor più suggestiva ma ugualmente riconducibile allo stesso intento, la denominazione de Afflicto sarebbe discesa dalla parola "fritto", sempre per ricordare il modo in cui fu martirizzato il Santo, rinchiuso in un bue di bronzo infuocato, e quindi "fritto" (10). Purtroppo, è ben conosciuto il vero etimo a base del cognome: una parola latina quindi dialettizzata che ha dato vita a un toponimo. Ossia "filictum", da felceto, una tra le molte denominazioni di origine contadina, adottata da una famiglia di Capri che è già ricordata nel X-XI secolo (11).
Per offrire un contributo alla soluzione del problema, credo che però si possa esplorare ancora un altro campo che è rimasto poco indagato fino a questo momento. Mi riferisco allo studio onomastico del nome di Gerardo, su cui mi sono già brevemente soffermato in un articolo di alcuni anni fa (12). Già allora scrivevo che l'unico Gerardo campano che io abbia trovato in regesti di documenti coevi al "fondatore" dell'Ordine riguardano un Gerardo Osborni, figlio di un Ardoino, che viveva nel giugno 1129 ad Aversa, ed era "di genere franco" (13).
Il nome del presunto antenato dei Sasso non appare dunque amalfitano. Gli onomastici degli Amalfitani e degli abitanti della costa, per tutto il Medioevo sembrano piuttosto essere Benedetto, Costantino, Giovanni, Gregorio, Leone, Lupino, Mansone, Marino, Mastalo, Mauro, Orso, Pantaleone, Pardo, Pietro, Sergio, Stefano, Taddeo, Tauro. Sono nomi che spesso costituiscono le solide dimostrazioni delle radici etniche o culturali bizantine. Esistono già nello stesso periodo, tuttavia, alcuni Ademari, Alberto, Cioffo, Giosolfio, Landolfo: gli onomastici di derivazione longobarda che filtrano dal vicinissimo principato salernitano erede della Longobardia Minor. E quanto significativi sono poi i nomi che evocano l'Oriente stesso e i viaggi che vi erano condotti, ancora imposti a persone che si chiamano Antiochia, Caterina (che ricorda i pellegrinaggi dalla Terra Santa al santuario del Sinai), Galotto ("galeotte si chiamavano le agili navi su cui si avventuravano i mercanti), Gierosolima.
Non c'è traccia di un Gerardo nei regesti dei sopravvissuti documenti che riguardano Amalfi, Ravello, Minori (14).
Certamente Sasso è, invece, un cognome che può essere considerato del tutto amalfitano. E non c'è bisogno di cercare per esso derivazioni lontane, come potrebbe supporsi nel caso di un richiamo fonetico con la Nazione sassone. Del resto, anche qualche famoso personaggio medievale cognominizzato "de Saxo" sembra aver tratto il cognome da un casale prossimo alla sua dimora, anziché discendere da un mitico guerriero germanico. Mi riferisco a quel Girardus de Saxo, capofazione romano che fu forse parente e poi fiero avversario del famoso papa Benedetto IX, colui che rassegnò per tre volte le dimissioni dal Trono pontificio. Il cognome di questo Sasso (Saxum), lungi anche in questo caso dall'essere riconducibile alla Sassonia, viene fatto derivare dalla località omonima presso Cerveteri, non lontana da Galeria, i cui conti, nemici del deposto Benedetto IX, avevano anche il controllo del non lontano castello di Sasso (15).
Anche nel nostro caso potremmo non andare molto lontano. I "sassi" contrassegnavano nel Medioevo località rocciose rinvenibili ovunque. La toponomastica locale li assegnava con o senza altre specifiche come caratteristica di un determinato territorio, e così ovunque la denominazione rimaneva fissata per sempre o lentamente poteva essere diluita nelle successive memorie. Come non ricordare i "saxa thebenna" che Jacopo Sannazzaro menziona nella sua Elegia in lode di Cassandra Marchese (16)? Il Poeta parla del monte Tobenna nel prossimo Picentino, sulle cui pendici passeggiava da ragazzo, facendo memoria dei suoi speroni e dei macigni che vi affiorano. La costa amalfitana, che doveva essere spesso contrassegnata da costoni rocciosi anche prima dei violenti terremoti che mutarono parte della sua orografia, si presta bene ad ospitare località che nel periodo medievale potevano designarsi come "sassi", e di qui passare a definire il nome della famiglia che le abitava o possedeva. E un toponimo con questa caratteristica si ritrova ancora proprio nel territorio di Scala: "sotto lo Sasso", località ricordata in una mappa catastale ottocentesca e che certo ha mutuato la denominazione da un'antica abitudine di indicare il luogo (17).
Famiglia locale, cognome locale. Ma di un Gerardo originario dell'area non sembra che esistano tracce se non quelle artificiali lasciate centinaia di anni dopo la sua presunta esistenza. Un po' come i dipinti che raffigurano personaggi dell'antichità su cui gli artisti lavoravano d'immaginazione.
(da Italia medievale, foto del busto di Gerardo nella chiesa di S.Domenico a Pisa)
(1) Cf. I. DE MADERIAGA, Ivan il Terribile, Torino 2006, p. 116.
(2) Cf. B. CANDIDA GONZAGA, Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d'Italia, II, Napoli 1875, p. 8.
(3) Cf. H.PIRENNE , Storia economica e sociale del Medioevo, Milano 1967, p.144.
(4) Cf. P. TROIANO, Reginna Minori trionfante, Minori 1985, p. 126.
(
Cf. F. CARDINI, L'Ordine gerosolimitano e la figura di fra Gerardo Sasso, in Scala nel Medioevo, Amalfi 1996, p. 88.
(9) Cf. S. AMICI, Araldica medievale scalese, in Scala nel Medioevo, cit., p. 309.
(11) Cf. G.GARGANO, I primi tempi della Civitas Scalensis e la formazione del patriziato locale, in Scala nel Medioevo, cit., p. 105.
(12) Cf. C. CURRO', E se Gerardo Sasso non fosse nato a Scala? In Eco Magazine, settembre 1998.
(14) Cf. Le pergamene degli Archivi vescovili di Amalfi e Ravello (I-IV), Napoli 1952-1959; Le pergamene dell'Archivio arcivescovile di Amalfi, Massalubrense 1981; Le pergamene dell'Archivio vescovile di Ravello, Napoli 1983; Le pergamene dell'Archivio vescovile di Minori, Minori 1987.
(15) Cf. F. MARAZZI, voce Gerardo, in Treccani.it
(16) Cf. J. SANNAZZARO, III.
(17) Cf. V. AVERSANO, Osservando i toponimi di Scala: parole e cose di una geografia "estrema", in Scala nel Medioevo, cit., p.135.
Royal principles and mythical knights seem to be the basis of all the most ancient foundations. And also of many aristocratic houses. Even princes and kings went in search of increasingly important ancestors, competing with each other for precedence, distinctions of protocol, magnificence of titles. In times when sovereigns used to call themselves "brother", it seemed necessary for them to prove that they belonged to families of equal origins and antiquity. Ivan IV, heir to the Byzantine imperial ideology, had imposed the state secret on his genealogy for fear of inappropriate comments. "In 1521 (...), the grand prince Vasily III had refused to call the new rulers, Frederick II of Denmark-Norway and Gustavus I Vasa of Sweden, brothers. For the Russians, the elected king of Sweden, descended from a family of lesser nobility, he was not even a nobleman but a merchant; the ruler of Denmark a king of "salt and water." In 1559, when the emissaries of Christian III, the new king of Denmark, tried to impose equal treatment on the and their ruler, the boyars even refused to discuss the matter, insisting that their king address the tsar as father and not brother "(1). The word merchant would have recurred insistently and in a derogatory tone in the conversations of the upper classes up to the end of the nineteenth century.
Provençal kings, Germanic emperors, nebulous barbarian rulers were proclaimed more or less credible ancestors of ruling families who would have helped Renaissance dukes and marquises such as the Medici, the Farnese or the Gonzagas to override each other to have the first places in ceremonies and entrances triumphals of the Imperial Court. And often more and more important ancestors not only claimed but alternated and replaced. Ancestors of different ethnic origins entered and left the family trees to help the political aims of the rulers and their ambitions; as did the Savoy family, supporters of Gallic or Italic ancestry, depending on the convenience of the moment and their expansive aims in Italy.
The noble families in turn tried to take steps that would lead higher and higher on the social ladder, in order to make themselves equal even to the sovereigns in the eyes of public opinion. The del Balzo who will come to surround the titular Crown of Constantinople, despite already very noble for family history and important marriage alliances, will not disdain to let the tradition of a descent from the kings of Arles or the legend spread, among the hypotheses of their origins. to derive from Belshazzar, one of the evangelical Magi, drawing for this a slight hint from the comet depicted in the coat of arms (2).
It is not only the great nobles who travel and occupy the different levels of society using a skilful manipulation of history. Already in the middle of the Middle Ages the ferment caused by the success of its activities was in fact able to move ambitions that go beyond the hope of earning. The Amalfi merchants who traveled throughout the Mediterranean basin, and who operated in close contact, especially in the Holy Land, with bishops, warriors, Muslim princes, and therefore with the sons and heirs of the greatest families of France, England, Provence and Italy, must have found it necessary to gild their ancestry. After having armed, sent and recalled ships loaded with European and exotic goods, earned huge sums, built palaces, churches, chapels in their cities of origin, along the coasts and slopes of their land not yet eroded and devastated by tsunamis and storms, they must having thought it appropriate to compete with the children of former customers by competing with them thanks to lists of illustrious ancestors.
Moreover, on many occasions, since the times of the first trade there must have been not a few great merchants who owned palaces, full deposits, ships and chests full of coins, to look with feelings of sufficiency precisely at the great nobles who had ruined themselves with the hope of conquering a social role by also purchasing goods that guaranteed a better standard of living but which had a very high price and which, due to the great demand, were destined to cost more and more. From the 13th century onwards, the entire aristocracy that overlooked the Schelde basin, for example, was in debt with lenders and bourgeois in the cities (3). And the most important European sovereigns borrowed money from Italian bankers. It is a story that will be repeated several times with changed protagonists in the following centuries.
The money, however, does not make the nobility, and therefore it was necessary to provide for it. The social ascent is gradual, in past centuries, and in general it takes a lot of patience to occupy public offices, those ennobling, to make the community understand that one is no longer just the son or grandson of the merchant but a man capable of administering, dealing with and relating to the powerful. And therefore a long intergenerational space must be slowly and imperceptibly filled. Even in the case of the bourgeois and merchants, the adjustment of ancestry and the invention of non-existent ancestors then constitutes an expedient of undoubted success, such as not only to shorten the long times of social ascent but to make us believe that the enriched simply return to reoccupy in society the proper place that belongs to them as descendants of illustrious proaves.
I have spoken of sometimes secular waiting. And therefore the shrewdest among the new nobles could not make use of only books written by complacent friends and scholars who too slowly spread information about their origins drawn up with the appropriate adjustments. To be admitted among the knights of Orders that required well-founded proofs of nobility, to break through the resistance of critical readers and overly curious aristocrats, it was sometimes necessary even a more subtle, subtle and unscrupulous plan. A very simple plan where the right person could be bribed: the fake.
With patience, with the ink prepared and used by a good scribe, the most ancient parish registers, sales protocols, medieval parchments were sought. They leafed through the pages until they found useful spaces between one act and another, free gaps in the pages. And all these few centimeters were filled with additions of surnames, names of non-existent characters, of imaginary grandparents and great-grandparents qualified as nobles. Or else the names of noble houses were unduly assumed and the annotations were "adjusted", so as to make them appear with the names of their own family. These were real fakes that the public did not even imagine existed. Yet, the trick must have been known to some, and among these there was no shortage of those who also had the courage to protest with disdain for what had happened and still happened in his time.
It was the Minorese canon Pompeo Troiano (1666-1738), as a diplomatic expert and scholar, who vehemently revealed and denounced these "adjustments". "Here it is convenient for me, o Reader - writes the clergyman - to warn you (driven by the zeal that I have always had of the most noble families), seeing in this corrupt age of ours, that a poorly born plebeian, acquiring some wealth through luck, wants also surrender the title of noble by means of ingenuity and rise to the sublime place where he could not reach by nature "(4). Pompeo also complained that for too long people who had not had the right had been allowed to unduly assume the surnames of noble families. It is the habit already widespread among the customers at the time of the Romans. For the patrician class it seemed almost a title of honor that so many people bore their surname, demonstrating the number of relatives, servants, peasants, neighbors and faithful who could be counted on and who guaranteed a very large respect. And it is enough to scroll through the telephone directories of Campania to realize how many families today bear the same surname as noble families with which they are not related. All this, Troiano continues, was due to the "corruption of the ancient nobles, who while they lived, allowed their plebeian and infamous people to boast the title of their families (which I do not know how to discern), but some they apply it to dependence on bastards, others on slaves "(5).
And here is the explanation that Pompey still offers of these underground activities that were widely organized in his time: entry into the Order of Malta. "I would not therefore - he writes - that this bad custom having been induced among mortals, a barefoot and a beggar born among the cowards, would have in any time to rise to such a height, that he would come to cheat the most noble religion of Malta with to demand the habit, and to make use of similar memories "(6). "Excuse me if my pen is transported to make such a disgression, because the corruption of modern times lead it to do all this, especially since I see in our age, that not only others unjustly use actual memories of families missed that they were noble, and of the same surname, but also others vitiate the writings, and particularly of the Royal Registers, in which the surnames of the patrician families already extinct are seen, they have tried to have us add theirs and made us fabricar ' in all the false families, with such astutie, that in the true ancient surnames they have crossed out a letter and placed another different one, to diversify the family "(7).
Among the families of the local patriciate, the Sassos adapt to this "demonstration effect" to take the qualitative step that could equate them to the most ancient nobles. They choose the traditional way: that of identifying a historical figure who could be placed in their family tree. And since there must be no doubt that they were in the Holy Land at the time when the first group of the Jerusalem Knights was formed, nothing better than to include one of these primitive Knights among the most illustrious members of the House.
Such a presence could not only certify their ancient status; but to open the doors of an Order whose insignia confer a definitive proof of nobility. It is well known how much the Sasso family has engaged in an artificial and unsustainable construction of inconsistent evidence. Franco Cardini himself, in the proceedings of a conference concerning his own Scala, was able to clarify whether or not there was a possibility that the Gerardo considered institutor of the Knights was only one, if he did not get confused with two or three other Hospitallers who bore the same name, if it was actually called Sasso and if it was originally from Scala. In extremely correct words, he stated that such possibilities did not exist: "From the historical point of view, except for the discovery - in theory always and in any case possible - of new and resolving documents, both the affirmation and the negation of what is traditionally said are chosen both idle "(
.
The "genealogical" activity of the Sasso is not a unique case. I d'Afflitto, although they have risen to considerable social importance, once they arrived in the group of local patrician families they wanted to identify their origins and those of their surname with the figure of a saint much venerated in the Middle Ages, as protector of hunters and woods, with no other proof than family devotion to him. Thus, in their opinion, the afflictions that could be remembered with the speaking surname, were to be identified with the sufferings suffered by St. Eustace during the martyrdom, comforted in these hypotheses by uncritical and dated authors such as Crollalanza, de Lellis and Mazzella (9). Or, with an even more suggestive thesis but equally attributable to the same intent, the denomination de Afflicto would have descended from the word "fried", again to remember the way in which the Saint was martyred, locked up in a fiery bronze ox, and therefore "fried" "(10). Unfortunately, the true etymology based on the surname is well known: a Latin word therefore dialectized that gave rise to a toponym. That is, "filictum", from fern, one of the many denominations of peasant origin, adopted by a family of Capri which is already mentioned in the 10th-11th century (11).
To offer a contribution to the solution of the problem, I believe that yet another field can be explored that has remained little investigated up to now. I refer to the onomastic study of the name of Gerardo, which I have already briefly touched upon in an article a few years ago (12). I was already writing then that the only Gerardo Campano that I have found in regesti of documents coeval to the "founder" of the Order concerns a Gerardo Osborni, son of an Ardoino, who lived in June 1129 in Aversa, and was "of Frankish gender" (13).
The name of the alleged ancestor of the Sasso does not therefore appear from Amalfi. The name days of the Amalfitans and the inhabitants of the coast, throughout the Middle Ages seem rather to be Benedetto, Costantino, Giovanni, Gregorio, Leone, Lupino, Mansone, Marino, Mastalo, Mauro, Orso, Pantaleone, Pardo, Pietro, Sergio, Stefano, Taddeo , Tauro. These are names that often constitute solid evidence of Byzantine ethnic or cultural roots. Already in the same period, however, some Ademari, Alberto, Cioffo, Giosolfio, Landolfo: the name days of Lombard origin that filtered from the nearby Salerno principality heir to the Longobardia Minor. And how significant are the names that evoke the East itself and the journeys that were conducted there, still imposed on people who are called Antioch, Catherine (who recalls the pilgrimages from the Holy Land to the sanctuary of Sinai), Galotto ("convicts were called the agile ships on which merchants ventured), Gierosolima.
There is no trace of a Gerardo in the regestas of the surviving documents concerning Amalfi, Ravello, Minori (14).
Certainly Sasso is, however, a surname that can be considered entirely Amalfi. And there is no need to look for distant derivations for it, as one might suppose in the case of a phonetic reference with the Saxon nation. Moreover, even some famous medieval personage surnamed "de Saxo" seems to have taken the surname from a farmhouse next to his residence, rather than descending from a mythical Germanic warrior. I refer to that Girardus de Saxo, Roman leader who was perhaps a relative and then a fierce opponent of the famous Pope Benedict IX, the one who resigned from the papal throne three times. The surname of this Sasso (Saxum), far from being attributable to Saxony, is made to derive from the locality of the same name near Cerveteri, not far from Galeria, whose counts, enemies of the deposed Benedict IX, also had control of the not far from the castle of Sasso (15).
Even in our case we may not go very far. The "stones" in the Middle Ages marked rocky locations that can be found everywhere. The local toponymy assigned them with or without other specifications as a characteristic of a specific territory, and so wherever the denomination remained fixed forever or slowly it could be diluted in subsequent memories. How can we forget the "saxa thebenna" that Jacopo Sannazzaro mentions in his Elegy in praise of Cassandra Marchese (16)? The Poet speaks of Mount Tobenna in the neighboring Picentino, on whose slopes he walked as a boy, remembering its spurs and the boulders that emerge there. The Amalfi coast, which must have often been marked by rocky ridges even before the violent earthquakes that changed part of its orography, lends itself well to hosting places that in the medieval period could be designated as "stones", and from here go on to define the name of the family who lived or owned them. And a toponym with this characteristic is still found in the territory of Scala: "sotto lo Sasso", a place mentioned in a nineteenth-century cadastral map and which certainly borrowed its name from an ancient habit of indicating the place (17).
Local family, local surname. But it does not seem that there are any traces of a Gerardo from the area except the artificial ones left hundreds of years after his presumed existence. A bit like the paintings depicting characters from antiquity on which artists worked from the imagination.
Note
(1) Cf. I. DE MADERIAGA, Ivan the Terrible, Turin 2006, p. 116.
(2) Cf. B. CANDIDA GONZAGA, Memories of the noble families of the southern provinces of Italy, II, Naples 1875, p. 8.
(3) Cf. H. PIRENNE, Economic and social history of the Middle Ages, Milan 1967, p.144.
(4) Cf. P. TROIANO, Reginna Minori triumphant, Minori 1985, p. 126.
(
Cf. F. CARDINI, The Jerusalem Order and the figure of Fra Gerardo Sasso, in Scala in the Middle Ages, Amalfi 1996, p. 88.
(9) Cf. S. AMICI, Scalese Medieval Heraldry, in Scala in the Middle Ages, cit., p. 309.
(11) Cf. G.GARGANO, The early days of Civitas Scalensis and the formation of the local patriciate, in Scala in the Middle Ages, cit., P. 105.
(12) Cf. C. CURRO ', And if Gerardo Sasso was not born in Scala? In Eco Magazine, September 1998.
(14) Cf. The parchments of the Episcopal Archives of Amalfi and Ravello (I-IV), Naples 1952-1959; The parchments of the Archiepiscopal Archive of Amalfi, Massalubrense 1981; The parchments of the Episcopal Archive of Ravello, Naples 1983; The parchments of the Episcopal Archive of Minori, Minori 1987.
(15) Cf. F. MARAZZI, voice Gerardo, in Treccani.it
(16) Cf. J. SANNAZZARO, III.
(17) Cf. V. AVERSANO, Observing the toponyms of Scala: words and things of an "extreme" geography, in Scala in the Middle Ages, cit.,